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FUGA DA LOS ANGELES
(ESCAPE FROM L.A.)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 16 febbraio 1997
 
di John Carpenter, con Kurt Russell, Steve Buscemi, Stacy Keach, Valeria Golino, Peter Fonda (Stati Uniti, 1996)
 
Contrariamente alla maggior parte dei suoi colleghi, John Carpenter non disdegna alleare ad un genere d'evasione come il cinema di fantascienza il messaggio messianico, magari pure politico. Cosi, sedici anni dopo il suo film più famoso (1997:FUGA DA NEW YORK) trova il sistema di ritentare il colpo. E di mettere subito le mani innanzi: con uno slogan che annuncia "The future is now", ci rende subito edotti del fatto che l'anticipazione del suo film è del tutta relativa.

Siamo infatti nel 1998. Il terremoto temuto da tempo, il celebre Big One, sconquassa la California: e stacca Los Angeles dalla terraferma. Sulla novella città-isola, già definita Sodoma e Gomorra dai politici moralisti governano gli Stati Uniti, verranno ormai deportati tutti i cittadini americani indesiderabili. E Dio sa se ce ne sono: i fumatori incalliti come i fornicatori extraconiugali, i consumatori di carne rossa per non parlare degli omosessuali, tutti gli indesiderabili vengono spediti fra le rovine di quella che fu la Mecca del cinema. Il che permette ad un regista maestro dell'ambientazione di darsi alla pazza gioia scenografica: grattacieli sommersi dalle onde del Pacifico, sembianze fatiscenti di mitici monumenti come la Union Station o gli studios della Universal, Disneyland e lo stadio Coliseum, la prospettiva ormai apocalittica di Sunset Boulevard, popolata com'è da una folla di sbandati, prostitute, marginali alla deriva.

All'interno di questo universo dell'ex-illusione, che il regista ricrea con mezzi certamente derisori rispetto a quelli di un INDEPENDENCE DAY, ma con una fantasia creativa, una meditazione espressiva ben più stimolante (il terremoto iniziale, ad esempio, è reso magistralmente), bisognava però pur sempre inventare una storia, metterci dei personaggi, far evolvere delle psicologie. Ed è proprio a quel punto che FUGA DA LOS ANGELES cessa di esistere: perlomeno come capolavoro invocato da una parte della critica.

La figlia Utopia del Presidente bacchettone scappa da Cuervo: capo dei ribelli che viene dal Sud, e che quindi porta il basco di traverso ed assomiglia a Che Guevara. Ai mascalzoni che stanno attorno al Presidente non rimane che affidarsi allora a Kurt Russell, e rifare a memoria gli schemi del vecchio FUGA DA NEW YORK. All'eroe bodybuildato dall'occhio bendato viene iniettato un virus mortale che gli da scampo per poche ore: costringendolo cosi, nel conto alla rovescia tipico del processo caro al regista, a mettersi al servizio del potere. Fino alla scena finale in clima ecologico (la sola inedita, rispetto al film originale) dove si chiarisce il messaggio caro all'autore: non dalla parte ipocrita dei politici, ma nemmeno da quella opportunistica dei rivoluzionari. Piuttosto da quella simpatica (e un po' confusa) degli anticonformisti: in nome di un ritorno non meglio definito alla natura, un primitivo ed un po' spiccio ritorno alle origini.

Ma non è tanto di quella simpatica confusione, e tanto meno per la sua coerenza di predicatore ecologico che si vuol dar torto a quel grande decoratore di un John Carpenter. Piuttosto al velleitarismo un po' noioso delle sue trovate: che non sono mai veramente crudeli ma nemmeno straordinariamente ludiche. Sicuramente suggestive sul piano dell'invenzione formale: ma prive di quel potere di sorprendere, che Baudelaire diceva segreto di ogni poesia.


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